quinta-feira, 30 de abril de 2009

SÃO JOSÉ OPERÁRIO, ROGAI POR NÓS!

INTERVISTA ESCLUSIVA DI FIDES ET FORMA A DON NICOLA BUX


Siamo lieti di pubblicare questa intervista in esclusiva concessa a Fides et Forma da don Nicola Bux, Consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Santo Padre e teologo di notevole fama. Don Bux ha pubblicato recentemente il volume "La Riforma di Benedetto XVI" edito per i tipi della Piemme che sarà presentato la prossima settimana nella sua edizione spagnola, con prefazione di S.E. Cardinal Canizares Llovera a Madrid e Siviglia.

di Francesco Colafemmina

A due anni dalla pubblicazione del Motu Proprio “Summorum Pontificum” si può parlare di un vero e proprio fervore liturgico, teso alla riscoperta dei tesori millenari del culto cattolico. Don Nicola Bux, professore della Facoltà Teologica Pugliese, nonché Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice è un testimone eccellente di questo fervore. Il suo recente saggio dal titolo rivelatore “La Riforma di Benedetto XVI” edito in Italia per i tipi della Piemme è già alla seconda edizione e nuove edizioni in varie lingue sono in corso di pubblicazione.

Don Bux, come spiega questo successo della “riforma” di Papa Benedetto, come lei stesso l’ha autorevolmente definita? E perché questo termine: “riforma”?


Il Santo Padre spiegando nella Lettera ai vescovi perché ha ritenuto una “priorità” la remissione della scomunica, scrive: “Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio”. Ora, un canto attribuito a san Paolino da Nola dice: Ubi charitas et amor Deus ibi est. Non dovremo quindi dilatare gli spazi dell’amore perché Dio sia presente nel mondo? Questo il senso del gesto del Pontefice. Ma egli aggiunge che si deve aprire l’accesso “Non ad un qualsiasi dio, ma a quel dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine(cfr Gv 13,1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto”. Ora, non è questo il senso vero della Liturgia? Far incontrare la presenza di Dio all’uomo che cerca la Verità, il suo Mistero presente che precede sempre la nostra esistenza nel mondo? Il Concilio approvò per primo la Costituzione liturgica anche per questa ragione: la Chiesa deve parlar di Dio all’uomo, farglielo incontrare. L’uomo cerca la Bellezza “Veritatis splendor”: la “riforma” se non servisse a ciò sarebbe inutile maquillage per esibire meglio noi stessi. Ma la vera riforma mira a dare a Dio il posto che gli spetta prima di tutto e al centro di tutto. In realtà riforma significa ri-forma (“ritorno alla bellezza”), senza passatismi inutili o idee di restaurazione.

Tradizione e innovazione sono dunque espressioni da dimenticare?

Tutt’altro. La migliore definizione della tradizione l’ha data san Paolo:”Ho ricevuto dal Signore quanto vi ho anche trasmesso”(1 Cor 11,23).L’Apostolo si riferisce alla fractio panis, l’eucaristia che è il centro della sacra liturgia. Per questo la liturgia si riceve dalla Tradizione che è fonte della Rivelazione insieme alla Scrittura. Ora, traditio viene da tradere, un verbo di movimento che, per essere tale, implica cambiamento e vita, trasporto di cose antiche e nuove, perché Egli, il Verbo eterno, fa nuove tutte le cose (Ap 21..). Qui la tradizione diventa innovazione che non è una cosa diversa che viene dal mondo, da fuori, ma da dentro, perciò in-novazione, da Colui che è il Vivente. Mons. Piero Marini ha recentemente affermato in una conferenza che sulla tradizione c’è molta confusione. Gli do ragione, anzi, mi piacerebbe che un giorno potessimo colloquiare su questo proprio per contribuire a pacificare gli spiriti, con verità e amore. Noi sacerdoti che serviamo nel Corpo mistico di Gesù Cristo siamo chiamati a dare l’esempio, soprattutto praticando la riconciliazione.

Negli ultimi mesi le celebrazioni della Messa nella forma straordinaria sembrano essersi diffuse e non sono più riservate a pochi appassionati, bensì promosse da personalità di alto profilo. Solo nelle scorse settimane abbiamo avuto gli splendidi esempi del Card. Canizares Llovera e del Card. Zen che hanno voluto rimarcare la forza liturgica del rito antico. Dunque davvero, come affermava l’allora Cardinal Ratzinger, “Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa”?

La ragione d’essere dell’episcopato è nell’essere uno col Capo del collegio, il Santo Padre. Un vescovo che disobbedisce – come un prete che facesse altrettanto col vescovo – è come un membro disarticolato dal corpo e reca scandalo ai fedeli. Quindi, il Prefetto del Culto divino, - al quale va in queste ore in cui è ricoverato al Policlinico Gemelli il mio pensiero e la mia costante preghiera - e gli altri ecclesiastici non fanno altro che il proprio dovere dando l’esempio. Per edificare il Regno e la Chiesa, è più importante l’obbedienza umile o la mia opinione fosse anche teologicamente attrezzata? Il fatto che il Santo Padre non abbia imposto, ma proposto la ripresa della Messa gregoriana – così amo chiamarla con Martin Mosebach perché risale a Gregorio Magno – sta avendo e avrà un effetto trainante ancora più grande. Perché i vescovi temono di tornare indietro? Non voleva la riforma liturgica ripristinare anche l’antico? Cosa di più venerabile della Messa di san Gregorio? Non dovremmo imitare lo scriba evangelico che trae dal tesoro cose nuove e antiche? Abbiamo incentivato musei diocesani ove ammirare le bellezze che prima erano nelle chiese e i concerti per ascoltare le musiche sacre che prima si eseguivano nei riti. Nei musei e ai concerti vanno solo gli appassionati, mentre alla liturgia vanno tutti. Ha senso privare il popolo di ciò che gli spetta, favorendo quasi una Chiesa d’èlite? Piuttosto, vescovi e clero, guardiamo il grande movimento di giovani che si è creato intorno alla messa gregoriana, in crescendo continuo –basta andare su internet- già sono i giovani e non nostalgici. Far finta di non vedere è grave per chi per definizione deve episcopein, osservare attorno, monitorare. Lo rifiuteremo solo perché non è nato da me o non corrisponde alla mia sensibilità? Chi mi conosce, sa che da giovane laico e poi chierico sono stato tra i promotori in diocesi e oltre della riforma liturgica: questa ora continua mettendo insieme nuovo e antico, agganciandosi meglio al dogma: è noto il rapporto di dipendenza tra liturgia e regola di fede. Non a caso un aspetto quasi sempre tralasciato nella polemica è quello relativo alle messe private. Il Motu Proprio infatti contempla l’uso del messale del Beato Giovanni XXIII anche per le messe “senza il popolo”, ovvero quelle che i sacerdoti celebrano privatamente. Ciò dimostra che l’uso del messale antico non è solo collegato ad un discutibile amore per i formalismi e l’aspetto esteriore della celebrazione, bensì ripristina la comunione del singolo sacerdote con tutti i cristiani nello spazio e nel tempo, mettendolo in comunicazione con il passato, con i Santi e con i martiri. Di qui ad esempio la decisione del Card. Zen di celebrare l’ultimo pontificale da Arcivescovo di Honk Hong secondo il rito straordinario. E’ un’esigenza profondamente spirituale. D’altra parte l’universalità della lingua latina dovrebbe essere di stimolo in un mondo globalizzato, affinché la Chiesa, almeno nel rito, si esprima con una sola lingua.

Sono ancora in molti però a leggere in questa promozione del rito antico una sorta di tradimento dello spirito del Concilio. Crede che il dialogo sia una strada percorribile per sanare le fratture e le reciproche diffidenze?

Siccome lo spirito del Concilio non può essere diverso dallo Spirito Santo - se lo fosse sarebbe spirito di errore e non di verità, come scrive la 1 Lettera di Giovanni – non si può pensare alcuna frattura e discontinuità tra la messa celebrata in quell’assise e quella poi aggiornata da Paolo VI. Dunque nessun tradimento ma tutta tradizione. Sebbene, se si va a studiare, non tutto quello che Paolo VI aveva prescritto è stato attuato, e quindi attende di esserlo per portare a compimento la riforma liturgica.Per esempio, egli aveva stabilito che i messali nazionali recassero sempre il testo latino a fronte: questo per impedire le traduzioni libere che hanno prodotto e producono non poco sconcerto. A chi si preoccupa e vede in questa riforma un tentativo di erosione del Concilio bisognerebbe ricordare il monumentale discorso del Papa alla Curia Romana del dicembre 2005 che ha superato fermamente questa contrapposizione introducendo l’ermeneutica della continuità . Ad ogni modo è sempre bene ricordare che nella Chiesa c’è libertà di critica se fatta con verità e amore, purché non si voglia censurare o demonizzare chi non la pensa come me. Per questo il Papa ha mostrato ancora una volta la sua lungimiranza, per dimostrare che “nessuno è di troppo nella Chiesa”. Io auspico sempre un confronto sereno e un approfondito e rispettoso dibattito. Pax et concordia sit convivio nostro, dice sant’Agostino.

Lei ha affermato: “L’uso della lingua parlata non è necessariamente sinonimo di comprensione. Oltre l’intelligenza e il cuore, per entrare in essa ci vuole anche immaginazione, memoria, e tutti i cinque sensi.” Crede che la riscoperta del rito antico possa aiutare a vivere con maggiore partecipazione anche la Messa celebrata nella forma ordinaria?

Per intenderci, la Sacra Liturgia è l’attrattiva della Bellezza che a sua volta è il percorso ragionevole alla Verità. La Bellezza è lo splendore della Verità. Come ho già detto in altra sede, proviamo con un sillogismo: siccome la sacra e divina liturgia – che include arte e musica sacra – è Bellezza, senza Verità non c’è liturgia, culto a Dio. E’ proprio Gesù che lo ricorda nel vangelo di san Giovanni: “I veri adoratori, adoreranno il Padre in spirito e verità”. Ma per trovare la Verità bisogna conoscere le creature. Questo solo cambia la vita mia e sua. L’ho constatato ancora in tanta gente che ha partecipato con me alle celebrazioni pasquali. Che il rito sia antico o nuovo deve guardare nell’unica direzione possibile, deve essere rivolto al Signore, interiormente ed esteriormente. Se oggi i sacerdoti quando concelebrano si orientano in direzione dell’ambone per ascoltare il Vangelo, perché non potrebbero farlo verso l’altare e la Croce per offrire l’eucaristia? Fare questo aiuta a convertirsi. Seguendo la sacra liturgia, ad un certo punto i riti e i simboli spariranno, svelando il significato; il Mistero penetrerà allora in tutte le direzioni: sarà il cielo sulla terra, la rappresentazione del Paradiso.

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Ranjith arzobispo de Colombo y no se excluye la birreta cardenalicia en un próximo consistorio


Ya está decidido y la publicación del nombramiento podría ser hecha pública ya el sábado próximo: monseñor Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, actual secretario de la Congregación para el Culto Divino, deja por segunda vez la Curia romana para volver a Sri Lanka. Será nombrado arzobispo de Colombo y no se excluye, para él, la birreta cardenalicia en un próximo consistorio.

Obispo auxiliar de Colombo en 1991, en noviembre de 1995 se le asignó la diócesis de Ratnapura. Seis años después, en octubre de 2001, el Papa Wojtyla lo nombró secretario adjunto de la Congregación de Propaganda Fide, guiada por el cardenal Crescenzio Sepe. Los dos no estuvieron muy de acuerdo y así, de sorpresa, en abril de 2004, Ranjith – que no pertenecía al servicio diplomático de la Santa Sede – fue nombrado nuncio apostólico en Indonesia y Timor Oriental. El prelado, bien conocido por el entonces cardenal Ratzinger, consideró el alejamiento como un injusto castigo. Por eso, nadie se sorprendió de que Benedicto XVI, pocos meses después de la elección, en diciembre de 2005, lo volviese a llamar a Roma como secretario de Culto Divino.

Todos pensaban que, al momento de la renuncia del entonces Prefecto, el cardenal nigeriano Francis Arinze, le habría tocado tomar el puesto a su segundo. Considerado por sus adversarios demasiado cercano a los tradicionalistas y a los lefebvristas, también a causa de alguna entrevista con tonos poco medidos, Ranjith ha visto irse la posibilidad de la sucesión de Arinze (aún si el nombre del actual Prefecto, el purpurado español Antonio Cañizares Llovera, estaba entre aquellos sugeridos por él), y ahora es alejado por segunda vez de la Curia romana. Su presencia en la primera línea de la frontera asiática será importante porque allí se juega un desafío decisivo para la Iglesia. Pero es difícil no considerar el nombramiento un promoveatur ut amoveatur.

Se confirma, de este modo, que la liturgia es un ámbito delicadísimo, escenario de “batallas” entre diversos enfoques. Y es significativo que el Papa Ratzinger haya decidido confiar el diálogo con los lefebvristas no a la Congregación para el Culto sino a la de Doctrina de la Fe. Desde el final de la semana pasada, el Cardenal Cañizares está internado en el Policlínico Gemelli por una tromboflebitis (el diario español ABC ha dado la noticia). El stress de las últimas semanas, ligado a la designación del sucesor de Ranjith, ha agravado las consecuencias. El purpurado, que se está recuperando bien, deberá permanecer en el hospital por dos semanas más y, por lo tanto - si bien el nombramiento de Ranjith a Colombo se hará público el sábado -, difícilmente será anunciado al mismo tiempo su sucesor, sobre cuyo nombre se juega una difícil partida en los sagrados palacios. Será, con toda probabilidad, un obispo anglófono. Se trata de un nombramiento delicadísimo y bien ponderado: el nuevo secretario tendrá, de hecho, un papel clave para poder contribuir a pacificar finalmente el “campo de batalla” litúrgico, realizando a pequeños pasos, con moderación pero también con determinación, aquella “reforma de la reforma” litúrgica tan deseada por Benedicto XVI: sin inútiles nostalgias por el pasado ni estériles formalismos, mirando al futuro en el surco trazado por el Concilio Vaticano II y corrigiendo con paciencia, al mismo tiempo, las deformaciones y abusos litúrgicos. En los últimos años, los secretarios de Culto se han alternado con una frecuencia que no tiene precedentes en los otros dicasterios curiales. Muchos desean que, esta vez, la elección sea bien ponderada y el elegido tenga frente a sí un tiempo suficiente para ambientarse y colaborar eficazmente con el Prefecto Cañizares y con el Papa.

Texto original: Sacri Palazzi
Traducción: La Buhardilla de Jerónimo

quarta-feira, 29 de abril de 2009

Santa Catarina de Sena, rogai pela Santa Igreja!

Altar-Mor da Igreja de Santa Maria sopra Minerva em Roma
onde se encontra o corpo de Santa Catarina de Sena

Santa Catarina de Sena,
assim como lutaste pelo bem da Santa Igreja de Cristo e pelo Papa, o “doce Cristo na terra”, como tu o chamavas, quando viveste neste mundo, intercede hoje nos céus pelo Vigário de Cristo Bento XVI e alcança de Deus a restauração de toda a Igreja para que resplandeça no mundo como Esposa de Cristo sem ruga e sem mancha e atraia para si as famílias de todos os povos

segunda-feira, 27 de abril de 2009

Explicação da Liturgia do Santo Sacrifício da Missa no Rito Gregoriano, ou seja, na Forma Extraordinária do Rito Romano



As partes principais da santa Missa são: Ofertório, Consagração e Comunhão. Ao lado destas partes ainda há muitas outras orações e cerimônias. O conjunto de todas estas orações e cerimônias constitui a liturgia ou rito da santa Missa. As cerimônias e orações do santo sacrifício da Missa vêm de tempos antiquíssimos e muitas delas, dos Apóstolos, e o seu sentido sublime e misterioso deve encher de devoção e respeito os nossos corações. As mais importantes são as seguintes:


Do começo até o Ofertório
(Ante-Missa ou Missa dos catecúmenos)

I. - O sacerdote, chegando ao altar, desdobra um pano ( o corporal) e coloca o cálice sobre o mesmo. Seguem-se as orações ao pé do altar, que o sacerdote reza, alternando com os coroinhas que representam o povo. Estas orações constam:

a) do Salmo 42, no qual se exprime o desejo da celebração do santo Sacrifício e a confiança no auxílio divino;

b) da confissão geral (Confiteor), que o sacerdote e o povo fazem para se purificarem dos pecados veniais que podem impedir o chegar com confiança e regozijo ao santo altar;

c) de orações que imploram a misericórdia divina.

II. - Feitas as orações ao pé do altar, o sacerdote sobe ao altar e beija-o em sinal de respeito. Dirige-se, depois, ao lado direito, onde reza o Introito, que geralmente contém trechos da Sagrada Escritura e refere-se à festa do dia.

III. - Depois o sacerdote volta ao meio do altar e reza, alternando com o coroinha o Kyrie eleison (Senhor, tende piedade de nós). São nove súplicas de piedade, sendo três dirigidas ao Pai, três ao Filho e três ao Espírito Santo. Ao Kyrie, segue-se ordinariamente o Glória ou canto dos anjos: Glória a Deus nas alturas.

IV. - Depois do Glória (ou depois do Kyrie, quando não há Glória), o sacerdote volta-se para o povo dizendo: "Dominus vobiscum" (O Senhor seja convosco). Desejando a mesma benção ao sacerdote, o povo, ou , o coroinha em nome do povo responde: "Et cum spiritu tuo" (E com vosso espírito). Esta piedosa saudação repete-se várias vezes na Santa Missa, entre o sacerdote e o povo, como que para se animarem mutuamente a perseverar no fervor. Depois o celebrante vai ao lado direito do altar e reza, em nome de todos os presentes, uma ou várias orações para as intenções gerais.

V. - Segue-se a leitura da Epístola (carta) tirada da Sagrada Escritura; geralmente é um trecho de uma epístola dos Apóstolos.

À Epístola, segue-se o Gradual, ordinariamente tirado dos Salmos. Em determinadas Missas, à Epístola segue-se a Seqüência. Depois do Gradual ou da Seqüência, o celebrante dirige-se ao outro lado do altar e inicia a leitura do Evangelho. Este consta de um trecho de um dos quatro Evangelhos. O sacerdote, para ler o Evangelho, dirige-se ao outro lado do altar, para significar que o Evangelho (doutrina de Jesus), rejeitado pelos judeus, passou para os pagãos. Durante o Evangelho, os fiéis ficam de pé, para dar a entender que estão prontos a obedecer à voz de Jesus Cristo, que nos fala no Evangelho, e para mostrar respeito pelas verdades nele contidas.

VI. - Todos os domingos do ano, como também nas festas de Nosso Senhor Jesus Cristo, da Santíssima Virgem, dos Apóstolos e Doutores da Igreja, diz-se, depois do Evangelho, o Credo. Assim termina a Ante-Missa ou Missa dos catecúmenos, assim chamada porque, nos primeiros tempos do Cristianismo, os catecúmenos e penitentes públicos eram despedidos pelo diácono depois do Evangelho.


Primeira parte principal: o Ofertório

I. - O sacerdote toma pão e vinho e os oferece ao Altíssimo. Por meio desta oferta, o pão e o vinho são antecipadamente santificados, para depois serem transformados no preciosíssimo Corpo e Sangue de Nosso Senhor Jesus Cristo, em que consiste essencialmente o santo sacrifício.

II. - A seguir o sacerdote lava as mãos - Lavabo - em sinal de que a alma deve estar purificada de todo pecado, e até das menores faltas para oferecer o santo Sacrifício. Depois, o sacerdote volta para os assistentes e os exorta a se unirem com ele na oração, dizendo: Orate frates! (Orai, irmãos!) Pede a Deus que aceite benignamente o sacrifício oferecido no que concerne a ele e aos assistentes. É com a mesma intenção que ele continua a rezar, em voz baixa, as Secretas, uma, duas ou três, conforme o número de orações rezadas.



Segunda parte principal: a Consagração

I. - Esta parte é preparada pelo Prefácio, solene oração de louvor e agradecimento. Como introdução, o sacerdote diz: "Sursum corda!" (Elevai os corações!) Por fim, une-se aos coros dos Anjos, dizendo: Santo, Santo, Santo, etc.

II. - As orações, depois do Sanctus, são ditas em voz baixa, daí o nome de Missa Secreta. Dá-se o nome de Cánon à parte da santa Missa que vai do Sanctus até o Pater Noster porque estas orações não variam. Nas orações que precedem à consagração, reza-se de um modo especial pela Santa Igreja, pelo Papa, pelos Bispos, e por todos os fiéis, principalmente por todos os presentes e por aqueles pelos quais o sacerdote oferece a Santa Missa ou que ele quer recomendar a Deus de um modo especial. Depois que o sacerdote pede por toda a Igreja militante, ele faz a comemoração dos Santos para que Deus, em atenção a seus méritos e sua intercessão, nos proteja sempre com o auxílio de sua graça.

III. - Um sinal da campainha anuncia que se aproxima o momento mais santo da Missa. O celebrante toma o pão em suas mãos e diz sobre o mesmo as palavras prodigiosas da Consagração, pelas quais o pão se transforma no preciosíssimo Corpo de Jesus Cristo. Então o sacerdote faz uma genuflexão e adora a santa Hóstia; logo depois mostra-a ao povo, para que também adore a seu Deus e Salvador presente no altar. - O mesmo sucede com o cálice, depois que o vinho foi transformado no preciosíssimo Sangue de Jesus Cristo.

IV. - Depois da Consagração, o sacerdote pede, novamente, a Deus afim de que aceite benignamente este sacrifício para a salvação do povo; reza, então, pelos defuntos e lembra-se de novo dos Santos, pedindo admissão à comunhão dos mesmos.


Terceira parte principal: a Comunhão

I. - Como introdução a esta parte, o sacerdote reza em voz alta o Pater Noster que é o resumo de todas as petições.

II. - O sacerdote parte a sagrada Hóstia, como também Jesus fez na última ceia quando partiu o pão.

III. - Em seguida, o sacerdote diz, três vezes, o Agnus Dei... (Cordeiro de Deus...), ao qual se seguem as orações preparatórias para a santa comunhão, as quais finalizam com o Domine, non sum dignus (3 vezes).

IV. - O celebrante comunga, recebendo, primeiramente, a sagrada Hóstia, e, depois, o preciosíssimo Sangue de Jesus. Enquanto isso, os fiéis devem fazer uma Comunhão espiritual, caso não comungarem realmente.

V. - Depois da santa Comunhão, seguem-se: a Ação de graças, a bênção do sacerdote (esta é omitida nas Missas para defuntos), e, por fim, geralmente, a narração do início do Evangelho de S. João, que nos anuncia a Encarnação do Filho de Deus.

Texto retirado do Grande Catecismo Católico, Pe. José Deharbes. Edições Paulinas, Imprimatur de 1945.

domingo, 26 de abril de 2009

Nuno de Santa Maria, “herói e santo de Portugal”, diz o Papa


Bento XVI canonizou o antigo general português na manhã deste domingo

CIDADE DO VATICANO, domingo, 26 de abril de 2009 (ZENIT.org).- Bento XVI canonizou na manhã de hoje, na Praça de São Pedro, o antigo general português Nuno Álvares Pereira, qualificando-o de “herói e santo de Portugal”.

“«Sabei que o Senhor me fez maravilhas. Ele me ouve, quando eu o chamo» (Sal 4,4). Estas palavras do Salmo Responsorial exprimem o segredo da vida do bem-aventurado Nuno de Santa Maria, herói e santo de Portugal”, disse o Papa em língua portuguesa, na homilia de missa de canonização.

Bento XVI recordou que os setenta anos da vida do herói português situam-se na segunda metade do século XIV e primeira do século XV, “que viram aquela nação consolidar a sua independência de Castela e estender-se depois pelos Oceanos – não sem um desígnio particular de Deus –, abrindo novas rotas que haviam de propiciar a chegada do Evangelho de Cristo até aos confins da terra”.

“São Nuno sente-se instrumento deste desígnio superior e alistado na militia Christi, ou seja, no serviço de testemunho que cada cristão é chamado a dar no mundo. Características dele são uma intensa vida de oração e absoluta confiança no auxílio divino.”

“Embora fosse um ótimo militar e um grande chefe –prosseguiu o Papa–, nunca deixou os dotes pessoais sobreporem-se à ação suprema que vem de Deus.”

São Nuno “esforçava-se por não pôr obstáculos à ação de Deus na sua vida, imitando Nossa Senhora, de Quem era devotíssimo e a Quem atribuía publicamente as suas vitórias. No ocaso da sua vida, retirou-se para o convento do Carmo por ele mandado construir”.

O Papa confessou sentir-se “feliz por apontar à Igreja inteira esta figura exemplar nomeadamente pela presença duma vida de fé e oração em contextos aparentemente pouco favoráveis à mesma, sendo a prova de que em qualquer situação, mesmo de carácter militar e bélica, é possível atuar e realizar os valores e princípios da vida cristã, sobretudo se esta é colocada ao serviço do bem comum e da glória de Deus”.

Fonte: Zenit

Bento XVI canoniza o português Nuno Álvares Pereira, "o Santo Condestável"


Com a Praça de S. Pedro no Vaticano completamente cheia foram canonizados esta manhã (26 de Abril) Arcangelo Tadini, Bernardo Tolomei, Gertrude (Caterina) Comensoli, Caterina Volpicelli e Nuno Santa Maria.

Depois da apresentação de uma breve biografia dos novos santos pelo Prefeito da Congregação para as Causas dos Santos, D. Angelo Amato, acompanhado pelos postuladores das causas, pediu que os cinco beatos sejam inscritos no “álbum dos Santos” e “como tal sejam invocados por todos os cristãos”. Após a ladainha, Bento XVI canonizou os cinco beatos.

Na fórmula de canonização, o Papa disse: “declaramos e definimos como Santos os Beatos Arcangelo Tadini, Bernardo Tolomei, Nuno de Santa Maria Álvares Pereira, Geltrude Comensoli e Caterina Volpicelli, e inscrevemo-los no Álbum dos Santos e estabelecemos que em toda a Igreja eles sejam devotamente honrados entre os Santos”.

Os presentes bateram palmas e acenaram-se bandeiras. Após a proclamação dos novos santos – quatro italianos e um português - transportaram-se as relíquias dos novos santos para junto do altar. O Arcebispo Amato e os postuladores agradeceram a Bento XVI.

O prefeito da Congregação para as Causas dos Santos pediu também que seja redigida a Carta Apostólica a respeito das canonizações que acabaram de ter lugar. Bento XVI respondeu “Decernimus”, ou seja, “ordenamo-lo”.

A Homilia do Papa Bento XVI

Na homilia da cerimônia da canonização de S. Nuno de Santa Maria, Bento XVI destacou algumas características do novo santo português. “Uma intensa vida de oração e absoluta confiança no auxílio divino” E adianta: “Embora fosse um ótimo militar e um grande chefe, nunca deixou os dotes pessoais sobreporem-se à ação suprema que vem de Deus”.

“São Nuno esforçava-se por não pôr obstáculos à ação de Deus na sua vida, imitando Nossa Senhora, de Quem era devotíssimo e a Quem atribuía publicamente as suas vitórias” – sublinhou Bento XVI na homilia.

No final da sua vida, o «Santo Condestável» retirou-se para o convento do Carmo, em Lisboa, mandado construir por ele. “Sinto-me feliz por apontar à Igreja inteira esta figura exemplar nomeadamente pela presença duma vida de fé e oração em contextos aparentemente pouco favoráveis à mesma, sendo a prova de que em qualquer situação, mesmo de carácter militar e bélica, é possível atuar e realizar os valores e princípios da vida cristã” – disse o Papa.

No final da celebração, Bento XVI agradeceu à comunidade portuguesa presente na praça de S. Pedro e, em particular, os carmelitas. "A quem um dia se prendeu o olhar e o coração deste militar crente" - salientou. A sua história de vida é "um apelo" aos cristãos de hoje – finalizou

Nuno de Santa Maria

Espírito contemplativo

Nuno Álvares Pereira, depois de ser religioso, estreitou mais o trato e familiaridade com o Senhor, porque então vivia no retiro, conveniente para poder sem estorvo empregar todas as potências da alma no Senhor que contemplava.

Amor à Eucaristia

«Esta a resposta que o Nuno costumava dar aos que notavam a sua frequência à mesa Eucarística: Que se alguém o quisesse ver vencido, pretendesse afastá-lo daquela Sagrada mesa em que Deus se dá em manjar aos homens, porque dela lhe resultava todo o esforço e fortaleza com que vencia e debelava seus contrários» (Papa Bento XV).

Devoção a Nossa Senhora

Nuno orava à Virgem Maria Senhora Nossa. Ao entrar no Convento de Nossa Senhora do Carmo, que mandou edificar, despojou-se de todos os títulos escolhendo para si o nome de «Frei Nuno de Santa Maria».

Pobreza, humildade e caridade

Nuno, o homem mais rico de Portugal, por amor de Deus fez-se pobre, inteiramente pobre. Distribuiu todos os seus bens pela Igreja, pelos pobres, pela família e pelos antigos companheiros de armas.

Despojado de tudo pede por caridade. Só por ordem do Rei é que deixou de andar pelas ruas a pedir esmola para os pobres. Do que o Rei lhe mandava para seu sustento, distribuía tudo o que podia pelos pobres, socorrendo e assistindo na agonia os moribundos. Mais caritativo era para com o seu próximo quando havia oportunidade de o socorrer nas enfermidades. Assistia os pobres nas doenças, não só com os alimentos necessários, mas com as ofertas que lhes dava.

Fonte: Ecclesia

sexta-feira, 24 de abril de 2009

SEGUNDO DOMINGO APÓS A PÁSCOA


Ego sum pastor bonus: et cognósco oves meas, et cognóscunt me meae. Allelúia. Io. 10, 14

IV Aniversário do Início Solene do Ministério Petrino de Bento XVI


"Queridos amigos neste momento eu posso dizer apenas: rezai por mim, para que eu aprenda cada vez mais a amar o Senhor. Rezai por mim, para que eu aprenda a amar cada vez mais o seu rebanho vós, a Santa Igreja, cada um de vós singularmente e todos vós juntos. Rezai por mim, para que eu não fuja, por receio, diante dos lobos. Rezai uns pelos outros, para que o Senhor nos guie e nós aprendamos a guiar-nos uns aos outros".

Homilia de Bento XVI na Santa Missa pelo início do seu Ministério de Sumo Pontífice - 24 de abril de 2005

℣. Oremus pro Pontifice nostro Benedicto.
℟. Dominus conservet eum, et vivificet eum, et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in animam inimicorum eius.

℣. Tu es Petrus,
℟. Et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam.

Oremus. Deus, omnium fidelium pastor et rector, famulum tuum Benedictum, quem pastorem Ecclesiae tuae praeesse voluisti, propitius respice: da ei, quaesumus, verbo et exemplo, quibus praeest, proficere: ut ad vitam, una cum grege sibi credito, perveniat sempiternam. Per Christum, Dominum nostrum. Amen.

quinta-feira, 23 de abril de 2009

REGINA COELI

O FILII ET FILIAE

Gagliardi parte da Ratzinger: "Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa"


Una nuova rubrica sulla liturgia

di don Mauro Gagliardi*

ROMA, mercoledì, 22 aprile 2009 (ZENIT.org).- «Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa. Così la questione liturgica ha acquistato oggi un’importanza che prima non potevamo prevedere»: così si esprimeva J. Ratzinger nel volume Cantate al Signore un cantico nuovo (p. 9). È in effetti indubitabile che la comprensione della liturgia è diventata oggi uno degli ambiti più importanti per la comprensione della Chiesa e per la sua vera riforma.

La grande riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II rappresenta un passaggio epocale nella storia della Chiesa. Negli ultimi quarant’anni la Chiesa cattolica ha riformato interamente il proprio culto, pubblicando ex novo – prima volta nella storia – tutti i propri libri liturgici, provvedendo cioè a darsi una nuova forma del proprio culto. Questo passaggio non è stato e non è indolore, ed è sotto gli occhi di ognuno che non si è raggiunta finora la pace ecclesiale sul tema fondamentale della liturgia e della sua forma.

L’allora teologo e Cardinale J. Ratzinger ha offerto alla Chiesa un notevole contributo in materia. In un’epoca segnata spesso dall’incertezza, egli ha tracciato una strada alla riflessione sulla liturgia e ha indicato criteri teologici per la celebrazione del culto divino. Ratzinger ha contribuito a comprendere la liturgia in maniera «essenziale», ovvero a partire dalla sua natura di preghiera della Chiesa, preghiera efficace in cui Cristo è presente, irrompendo nel nostro oggi.

Questa comprensione è possibile solo ad alcune condizioni:

1) È necessario non separare mai lo studio della liturgia da quello del dogma. Solo lo stretto collegamento tra dogma e liturgia può permettere uno sviluppo fruttuoso della teologia e della prassi liturgiche. Se lo studio della liturgia non è soprattutto una teologia liturgica, esso si riduce alle strettezze dei pur dottissimi studi storici e filologici condotti sulle fonti liturgiche, o all’arbitrio di un malinteso adattamento eucologico e pastorale della liturgia che, paradossalmente, si distacca dai risultati di quegli studi, in misura direttamente proporzionale al loro grado di specializzazione.

2) La comprensione teologica della liturgia ce la fa intendere, col suo duplice aspetto di culto divino e di santificazione dell’uomo, come reale irruzione di Dio nel mondo. Questo implica anche il carattere cosmico della liturgia. Scriveva il Cardinale: «Il culto cristiano implica l’universalità. È il culto del cielo aperto. Non è mai solo l’evento di una comunità che ha una determinata collocazione spaziale. Celebrare l’eucaristia significa invece entrare nell’adorazione di Dio che abbraccia il cielo e la terra» (Introduzione allo spirito della liturgia, p. 46). La liturgia è allora adorazione, e siccome Cristo è il Logos fatto carne (cf. Gv 1,14), il culto divino della Chiesa non potrà che essere – come insegna san Paolo – logiké latreia o «culto razionale» (Rm 12,1).

3) Da ciò consegue che la liturgia non può mai essere semplicemente opera delle nostre mani. Nella sua essenza, noi riceviamo la liturgia da Dio stesso. «La forma del culto non è una questione di concessioni politiche; esso ha in se stesso la propria misura, può essere regolato solo dalla misura della rivelazione, a partire da Dio»; «La vera liturgia presuppone che Dio risponda e mostri come noi possiamo adorarlo» (Introduzione allo spirito della liturgia, pp. 12 e 17). Perciò, la liturgia «non vive delle trovate di qualche singolo o di qualche commissione. Essa è, al contrario, il venire di Dio, il farsi trovare di Dio nel nostro mondo» (ivi, p. 165).

Questi ed altri criteri offerti alla Chiesa dalla riflessione di Joseph Ratzinger risultano di grande aiuto e di grande attualità. È innegabile che essi non siano stati tenuti sempre presenti, e non solo nella prassi. Certo, non mancano voci che ricordano che oggi sono «ben altri» i problemi che la Chiesa deve affrontare. A costoro rispondeva Ratzinger: «Di fronte alle odierne crisi politiche e sociali, e alle sollecitazioni morali che esse impongono ai cristiani, potrebbe a tutta prima sembrare di scarsa importanza occuparsi di problemi di liturgia e di preghiera. Ma non si può separare dall’adorazione la questione del riconoscimento dei criteri etici e del risveglio delle forze, ambedue necessari per affrontare la crisi. [...] Perciò la cura per la forma appropriata dell’adorazione non è disgiunta dalla preoccupazione per l’uomo, ma ne sta al centro» (La festa della fede, p. 9).

«L’adorazione, la giusta modalità del culto, del rapporto con Dio, è costitutiva per la giusta esistenza umana nel mondo; essa lo è proprio perché attraverso la vita quotidiana ci fa partecipi del modo di esistere del “cielo”, del mondo di Dio, lasciando così trasparire la luce del mondo divino nel nostro mondo» (Introduzione allo spirito della liturgia, p. 17).

Credo che sia questa l’esigenza avvertita dallo staff direttivo di ZENIT, quando mi ha chiesto di assumere la responsabilità di una nuova rubrica liturgica. Non sono un liturgista, nel senso che la parola oggi possiede: sono e resto un dommatico, anche se, per passione e per ufficio, studio, insegno ed opero anche nel campo della liturgia, da me intesa soprattutto come «teologia liturgica».

Alla scuola dell’allora Cardinale Ratzinger, vediamo che oggi è soprattutto di questo che c’è bisogno e perciò, pur con tutte le perplessità del caso, ho accettato la proposta, per ora ad experimentum con cadenza quindicinale. Quello che ci si propone di fare è di offrire ai lettori di ZENIT un servizio di formazione ed informazione sulla liturgia, che permetta loro di scoprire ed approfondire l’essenza, o lo «spirito», della liturgia.

Non sarò solo: gli articoli verranno prodotti anche da altri studiosi, che si riconoscono in questa visione e avvertono l’importanza del momento che viviamo. I lettori potranno essere protagonisti, inviando commenti e domande. Sceglieremo le più significative e, di tanto in tanto, offriremo risposte ai quesiti (anche se questa non è una rubrica del tipo: “Il liturgista risponde”). Sono stati anzi proprio i lettori ad invocare da tempo una rubrica liturgica su ZENIT. Forse tanti avvertono il bisogno di quanto il teologo Ratzinger aveva espresso già nel 1973: «Dopo tutti i trastulli di liturgie autonomamente elaborate, noi avvertiamo l’insorgere della nuova esigenza di un profondo e personale incontro con Dio e di un culto, il quale faccia veramente conoscere la presenza dell’Eterno» (Dogma e predicazione, p. 357). Per questo, cercheremo di andare alla ricerca del vero «Spirito della liturgia».


*Don Mauro Gagliardi è Ordinario di Teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma e Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.


©Fonte Zenit © Innovative Media, Inc.

Monseñor Nicola Bux: “Pero… ¿qué fiesta? La Liturgia es un drama”


Hemos publicado anteriormente el original italiano de la entrevista realizada por Bruno Volpe a Monseñor Nicola Bux en que habla de la correcta comprensión de la divina liturgia. Ahora, por la importancia de sus afirmaciones, publicamos su traducción española hecha por La Buhardilla.

“Pero… ¿qué fiesta? La Liturgia es un drama”: lo afirma Monseñor Nicola Bux, teólogo y liturgista de reconocida fama. Con él, hemos afrontado el tema del sentido de lo sagrado en la Liturgia.

Creo que este sentido de lo sagrado se podrá recuperar cuando comprendamos que la Misa no es nunca un espectáculo, un entretenimiento o una propiedad de cada sacerdote, sino un verdadero y propio drama. A menudo nos llenamos la boca con la palabra “fiesta”, pero… ¿qué fiesta? En la Misa recordamos el sacrificio de Cristo, ésta es la verdad. Cristo se ha inmolado por nosotros y luego se usa la palabra fiesta… Es correcto hablar de fiesta sólo después de haber comprendido y aceptado el concepto de que Cristo ha dado la vida por nosotros. Sólo entonces es lícito hablar de fiesta, pero nunca antes.

Luego añade:

Una buena Liturgia debe tener en su centro la cruz pero, al ser colocada frecuentemente a un lado o en lugares poco visibles, ésta ha perdido su significado verdadero y auténtico. Parece mucho más un objeto accesorio que un centro de adoración. A veces tengo la sensación de que una cruz en el centro del altar produce fastidio, casi incomodidad. Para ser duros: la mayoría de las veces, no la mira nadie.

Monseñor Bux habla del concepto de devoción:

Para volver a dar a la Liturgia el sentido de lo sagrado, es necesaria la devoción. Basta de Misas celebradas como acontecimientos mundanos y entretenimiento. Es necesaria la devoción, el encuentro con el rostro de Dios. Pero desgraciadamente esto ocurre muy pero muy raramente. Sin un encuentro con el verdadero rostro de Dios, sin devoción, la Misa se convierte en un ritual, en una auto-celebración del sacerdote que no tiene ningún sentido.

Provocadoramente, monseñor Bux plantea una pregunta:

¿Cuántos actualmente, celebrando la Misa, dirigen la mirada a Dios y a la cruz? Pocos. Y por eso el sentido de lo sagrado va disminuyendo en nuestras Misas.

Y entonces, ¿qué se puede hacer?

Pienso que una buena idea podría la ser siguiente: en la segunda parte de la Misa, desde el ofertorio en adelante, el sacerdote podría celebrar dirigido hacia la cruz, ad orientem.

¿Por qué razón ad orientem?

De este modo, los fieles no verían ya la figura del sacerdote, que no es el protagonista, sino que junto con él contemplarían la cruz, el misterio.

Por lo tanto, una posición ad orientem en la segunda parte de la Misa…

Me parece conveniente. De esta manera, la Liturgia adquiriría un valor mucho más escatológico, de misterio y adoración; la gente misma comenzaría a comprender y apreciar el valor escatológico, por usar una palabra difícil, de la Liturgia. Mirar a oriente equivale a contemplar al Señor que viene. Pienso que esta posición, que por otro lado es la que usan los orientales, puede ayudar a encontrar mayor recogimiento. He aquí mi modesta propuesta para una reforma gradual y sensata: mirar a oriente en la segunda parte de la Santa Misa.

En una entrevista que nos ha concedido algunos días atrás, el historiador Franco Cardini ha hablado de crisis del sentido de lo sagrado…

Es necesario ver en qué sentido ha dicho esta afirmación. Pero el sentido de lo sagrado es Dios. Aparentemente, este sentido de lo sagrado, es decir, de cercanía y de búsqueda de Dios, hoy parece ofuscado, es cierto. Pero yo no sería tan pesimista. En el fondo, el hombre busca siempre, por naturaleza, a Dios. Muchas veces también por comodidad personal o con formas corrompidas y equivocadas como la superstición o la magia, pero a fin de cuentas ese contacto es buscado. La alianza con Dios, incluso egoístamente, es conveniente para el hombre.

quarta-feira, 22 de abril de 2009

NLM: More Considerations of the Lateran Mass of Cardinal Cañizares


By Shawn Tribe

The recent celebration of a Solemn Pontifical Mass in the usus antiquior by the Cardinal Prefect of the Roman congregation which oversees the sacred liturgy, the Congregation for Divine Worship and the Discipline of the Sacraments; and this further within the surroundings of the prominent Lateran Archbasilica, the Pope's very own cathedral in the See of Rome, cannot be underestimated. Indeed, it carries with it both historic and symbolic aspects of note.

It would not be an exaggeration to suggest that the significance of this combination of person and place is something which will surely not go without notice from various sectors within the Church -- and one can hardly expect that this would have not been taken into at least some consideration in the planning and approval of this Mass.

Such an event is indeed rich in its symbolic value for it cannot but be a powerful statement and affirmation of the mainstream place which the usus antiquior now occupies again within the life of the Church. It further emphasizes the papal benediction of the same, which, while not in doubt, is relevant again for the reason of these factors.

Certainly the next question that will be upon the minds of many following from this event will pertain to the future possibility of some sort of papal celebration of these same liturgical rites, be it a public papal Low Mass, the Missa coram Summo Pontifice, the Solemn Papal Mass, or even some development of these in the light of present-day circumstances. While it is interesting subject to speculate upon, the first thing that we must bear clearly in mind is that we must leave this to the judgement of the Pope himself. It is manifestly clear from activities such as those which occurred yesterday within his own Cathedral and by his appointed liturgical prefect no less -- let alone by virtue of the motu proprio itself -- that the Pope firmly supports the usus antiquior as one part of his broad liturgical vision. No one can doubt this, and so no further sign is necessary. This said, while that is true, one cannot deny that such an activity would be of momentous importance -- particularly in the age of visual media -- and so such speculation and desires are manifestly understandable. Of course, various factors come into the consideration of such possibilities for the Pope, including both those which are liturgical and pastoral.

All this said, my intent here is not to speculate as to whether such a papal liturgy will be manifest, and if so, when it might be, or in what form. One can always come up with theories, but they remain just that: theories. What is worth noting however, particularly for those for whom this is a matter of great interest to consider, is that the Lateran Mass of Cardinal Cañizares yesterday can only be understood as helping potentially pave the way toward such a possibility, both in terms of greater liturgical familiarity in the execution of these liturgical books in these places, and also in terms of helping to acclimate those who are perhaps more reticent about the idea better to it.

For this reason and simply for reason for the Mass itself can we be thankful then to the Holy Father and to Cardinal Cañizares for yesterday's Mass in the Lateran Archbasilica.

Source: NLM

Novos tempos em Roma: Cardeal do Culto Divino celebra Missa Pontifical em Rito Gregoriano no Altar Papal da Basílica do Latrão

Ontem, terça-feira, dia 21 de abril, o Card. Antonio Cañizares Llovera, Prefeito da Congregação do Culto Divino e Disciplina dos Sacramentos, celebrou Solene Missa Pontifical no antigo e venerável Rito dos papas Dâmaso e Gregório que constitui hoje a Forma Extraordinária do Rito Romano, na Catedral do Papa, a Arquibasílica de São João do Latrão.

Só quem conheceu as dificuldades e os preconceitos na aplicação do Motu Proprio Ecclesia Dei até mesmo em Roma, pode entender a grandeza simbólica deste fato.

Não foi um monsenhor da Ecclesia Dei a celebrar, nem mesmo o seu Presidente, nem mesmo o generoso Prefeito da Congregação para os Religiosos, foi simplesmente o Prefeito da Congregação do Culto Divino e Disciplina dos Sacramentos a recordar a todos que o Rito Romano, segundo a legislação universal da Igreja, não se resume a uma única forma, possui duas formas (Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 1) da mesma maneira que o Rito Bizantino possui três: a “liturgia de São João Crisóstomo” (forma ordinária), a de “São Basílio”( forma extraordinário) e a dos Pré-santificados (forma excepcional).

Portanto, o Rito Gregoriano, não é coisa de “istas” ou nostálgicos, diz respeito a todos os católicos e como já dizia o Papa Bento XVI na Carta aos Bispos que acompanhou o Motu Proprio Summorum Pontificum e como agora muitos com surpresa estão verificando, "também pessoas jovens descobrem esta forma litúrgica e sentem-se atraídas por ela e nela encontram uma forma, que lhes resulta particularmente apropriada, de encontro com o Mistério da Santíssima Eucaristia". Dizia ainda o Santo Padre na Carta aos Bispos: "Aquilo que para as gerações anteriores era sagrado, permanece sagrado e grande também para nós, e não pode ser de improviso totalmente proibido ou mesmo prejudicial. Faz-nos bem a todos conservar as riquezas que foram crescendo na fé e na oração da Igreja, dando-lhes o justo lugar".

Obrigado Santidade!

Obrigado Card. Cañizares!




terça-feira, 21 de abril de 2009

Monsignor Nicola Bux: "Ma quale festa, la liturgia è un dramma”


di Bruno Volpe,
da Pontifex Roma (21/04/2009)


“Ma quale festa, la liturgia è un dramma”: lo afferma Monsignor Nicola Bux, teologo e liturgista di chiara fama. Con lui affrontiamo il tema del senso del sacro nella liturgia: “Credo che questo senso del sacro si potrà recuperare quando comprenderemo che la messa non è mai uno spettacolo, un divertimento o una proprietà del singolo sacerdote, ma un vero e proprio dramma. Spesso ci riempiamo la bocca con la parola festa, ma quale festa. Nella messa ricordiamo il sacrificio di Cristo, ecco la verità. Cristo si è immolato per noi e poi si usa il vocabolo festa. È corretto parlare di festa solo dopo aver compreso e accettato il concetto che Cristo ha dato la vita per noi. Allora, è lecito parlare di festa, ma prima mai”.

Poi aggiunge: “Una buona liturgia deve avere al suo centro la croce, ma essa sempre più spesso,collocata al lato, o in posti poco visibili, ha perso il suo vero ed autentico significato. Sembra molto di più una suppellettile, che non un centro di adorazione. A volte ho la sensazione che una croce al centro dell’altare dia fastidio, quasi sia di impaccio. Per essere duri: il più delle volte non la guarda nessuno”.

Monsignor Bux parla del concetto di devozione: “Per ridare alla liturgia il senso del sacro, è necessaria la devozione. Basta con messe celebrate come avvenimenti mondani e intrattenimento. Occorre la devozione, l’incontro col volto di Dio. Ma spiacevolmente questo avviene molto,ma molto raramente. Senza un incontro con il vero volto di Dio, senza devozione, la messa diventa un rituale, una auto celebrazione del sacerdote che non ha alcun senso”.

Provocatoriamente monsignor Bux si pone e pone una domanda: “Quanti oggi, celebrando la messa, rivolgono lo sguardo a Dio e alla croce? Pochi, ecco perché il senso del sacro si va attenuando nelle nostre messe”.

E allora che cosa fare?

Penso che una buona idea possa essere la seguente: nella seconda parte della messa, dall’offertorio in poi, tanto per capirci, il sacerdote potrebbe celebrare rivolto verso la croce, ad orientem.

Per quale ragione "ad orientem"?

In tal modo, i fedeli non vedrebbero più la figura del sacerdote, che non è il protagonista, ma assieme a lui, contemplano la croce, il mistero.

Dunque una posizione "ad orientem" nella seconda parte della messa.

Mi sembra conveniente. In questa maniera la liturgia acquisterebbe valore maggiormente escatologico, di mistero ed adorazione, la gente stessa comincerebbe a comprendere ed apprezzare il valore escatologico, per usare una parola difficile, della liturgia. Guardare ad oriente equivale a contemplare il Signore che viene, penso che questa posizione, del resto usata dagli orientali, possa aiutare a trovare maggior raccoglimento. Ecco la mia modesta proposta per una riforma graduale e sensata: guardare ad oriente nella seconda parte della Santa Messa.

In un'intervista che ci ha rilasciato qualche giorno fa, lo storico Franco Cardini ha parlato di crisi del senso del sacro.

Bisogna vedere in che senso ha lanciato questa affermazione. Ma il senso del sacro è Dio. Apparentemente questo senso del sacro, cioè di vicinanza e di ricerca di Dio, oggi sembra offuscato,vero. Ma non sarei tanto pessimista. In fondo l’uomo per natura cerca sempre Dio. Molte volte anche per comodità personale o con forme corrotte e sbagliate come la superstizione o la magia, ma alla fine il contatto viene cercato. L’alleanza con Dio anche egoisticamente, conviene all’uomo.

segunda-feira, 20 de abril de 2009

Causa de la crisis actual en la fe del pueblo cristiano: el error grave de confundir la teología con el Magisterio y el Magisterio con la teología


VATICANO - LAS PALABRAS DE LA DOCTRINA de don Nicola Bux y don Salvador Vitiello - Los cristianos deben renunciar al mundo, también en la Iglesia

Ciudad del Vaticano (Agencia Fides) - Existe un "hilo rojo" que relaciona la homilía de la Vigilia Pascual del Santo Padre a la ya célebre meditación del Via Crucis 2005, y a la del 22 de febrero de 2006 sobre el hecho de ‘hacer carrera’ y del abril siguiente sobre los "escaladores" en el redil y, recientemente, a la homilía de la Misa Crismal donde señala que "El unirse a Cristo supone la renuncia. Comporta que no queremos imponer nuestro camino y nuestra voluntad; que no deseamos llegar a ser esto o aquello sino que nos abandonamos a El en cualquier lugar y en el modo como El quiera que le sirvamos”.

Sin embargo, tal pensamiento él ya lo había expuesto en su libro "Introducción al Cristianismo”: "Los verdaderos creyentes no dan nunca excesivo peso a la lucha por la reorganización de las formas eclesiales. Ellos viven de lo que la Iglesia siempre es. Y si se quiere saber qué es realmente la Iglesia, hay que acudir a ellos. La Iglesia, en efecto, no está dónde se organiza, se forma, se dirige, sino que está presente en los que creen con sencillez, recibiendo en ella el don de la fe que se convierte para ellos en fuente de vida… Eso no quiere decir que hay que dejar todo como está y soportarlo tal como es. El soportar también puede ser un proceso sumamente activo"... (ed. Queriniana-Vaticana, 2005 a propósito del artículo sobre el Espíritu y la Iglesia, en particular a p 333-337).

La fe católica necesita un sano y sereno pluralismo teológico: toda opinión tiene derecho de ciudadanía en la Iglesia, a condición de que pueda exhibir razones teológicas pertinentes. Para llegar a eso, es necesario saber distinguir entre lo que los cristianos deben creer, esto es, la doctrina autorizadamente propuesta por el magisterio eclesiástico como una verdad divinamente revelada (la doctrina segura, cierta y pura de la que escribe Pablo a Timoteo) y lo que pueden creer, es decir una opinión que se han hecho o la adhesión a la opinión de algún teólogo. El poder de enseñar la verdad, Cristo lo ha dado sólo a su Iglesia.

El Papa está llevando a justa maduración la verdadera realización del Concilio Vaticano II, en continuidad con la Tradición y esto sólo se produce participando de la doctrina segura. "Sine doctrina – decía ya Catone - vida este quasi mortis imago". San Pablo habla de doctrina segura, sana y pura (Cfr Tito 1,7-11; 2,1-8): a nuestro parecer la doctrina es "segura" si está fundara en Jesucristo y en la primacía petrina; es "sana" si es inmune de pensamientos desviados; y es "pura" si está exenta de poluciones de las opiniones mundanas.

Por ello, Joseph Ratzinger a su tiempo recordó que la Iglesia no puede cambiar la fe y a un tiempo pedir a los creyentes permanecer fieles a la misma. Por el contrario, está íntimamente obligada hacia la Palabra de Dios y hacia la Tradición. Éstos explica sus gestos.

Eso significa, como algunos han apuntado, que el Concilio Vaticano II no ha creado o negado ningún dogma ni lo ha interpretado de modo diferente a la Tradición. La infalibilidad de la Iglesia está precisamente ahí: ser asistido por el Espíritu Santo hasta el punto de no querer ni poder renegar de la fe transmitida por los Apóstoles.

La llamada "fractura" del postconcilio” ha sido producida por cierta teología que ha querido interpretar arbitrariamente el Concilio, hablando de un presunto 'espíritu', diferente del Espíritu Santo que hasta entonces había conducido la Iglesia (cfr Benedicto XVI, Conversación a la Curia romana del 22 de diciembre de 2005).

Así se ha comenzado a hablar de "teología preconciliar" que se debe superar y eliminar para siempre, sustituyendo a los representantes de la "teología conciliar". Ahora la verdadera teología no pretende ser portadora de una verdad absoluta que todos deben aceptar por fe; una opinión o escuela teológica no puede imponerse como la única manera de vivir la fe, ni puede "excomulgar" las otras escuelas y opiniones. La verdadera teología es solamente una tentativa de interpretación de la doctrina de la fe, siempre se basada en el dogma, sin anteponer a la palabra de Dios una opinión humana. La verdadera teología no pretende eliminar el dogma (eliminando partes, haciendo una selección entre los "artículos de fe"), ni superarlo (añadiendo nuevos "artículos de fe").

Por tanto, la crisis actual en la fe del pueblo cristiano viene por el error grave de confundir la teología con el Magisterio y el Magisterio con la teología. Los teólogos son considerados, o se consideran, más importantes que los Obispos y el Papa, casi legítimos intérpretes del Vaticano II, que habrían "anticipado" y luego "inspirado". La verdad de la fe católica viene sólo del Magisterio del Papa y los Obispos en unión con él. (Agencia Fides 16/4/2009)

sexta-feira, 17 de abril de 2009

DOMINGO "IN ALBIS" DA OITAVA DA PÁSCOA



"Depois disse a Tomé: mete aqui o teu dedo, e vê as minhas mãos; aproxima também a tua mão, e mete-a no meu lado; e não sejas incrédulo mas fiel. Respondeu Tomé, e disse-lhe: Senhor meu, e Deus meu. Disse-lhe Jesus: Tu creste, Tomé, porque me viste; bem aventurados os que não viram e creram". Jo 20, 27-29


Ese acontecimiento de Pascua sobre el cual la Iglesia se apoya o se cae


Es la resurrección de Jesús. "Sobre esto te escucharemos en otro momento", dijeron a san Pablo los intelectuales de Atenas, dejándolo solo. Pero Benedicto XVI es obstinado y vuelve a lanzar el anuncio "urbi et orbi". Lo ha hecho dos veces en cuatro días, y ha explicado por qué

por Sandro Magister


Disponible también en: Italiano, English, Français

ROMA, 17 de abril de 2009 – El domingo de Pascua, en el mensaje al mundo desde el balcón central de la basílica vaticana, y luego el miércoles siguiente, en la audiencia general en la plaza San Pedro, Benedicto XVI ha puesto en el centro de su predicación al acontecimiento de la resurrección de Jesús.

Lo ha hecho en coincidencia con el calendario litúrgico. Pero también con lo que es su objetivo declarado, como Papa: reavivar la fe allí donde corre peligro de apagarse, abrir a los hombres el acceso a Dios: "no a un dios cualquiera, sino al Dios que habló en el Sinaí; al Dios cuyo rostro reconocemos en el amor llevado hasta el extremo, en Jesucristo crucificado y resucitado".

Los dos discursos papales de Pascua y del miércoles "in albis" forman un díptico profundamente unitario, el cual expresa más que nunca el sentido de este pontificado.

Se sabe que el Papa Joseph Ratzinger está escribiendo el segundo volumen de su libro "Jesús de Nazaret", dedicado principalmente a los relatos evangélicos de la pasión y resurrección de Jesús. Parece que ha avanzado más bien en la redacción. En todo caso, quien quiera un anticipo, lo encontrará precisamente en los dos discursos citados, reproducidos íntegramente líneas abajo.

Benedicto XVI ha insistido en el hecho que la resurrección de Jesús "no es una teoría, sino una realidad histórica, no es un mito ni un sueño, no es una visión ni una utopía, no es una fábula, sino un acontecimiento único e irrepetible".

Y más todavía:

"Lo afirmamos con fuerza porque, también en estos tiempos que vivimos, no falta quien busca negar la historicidad [de la resurrección], reduciendo el relato evangélico a un mito, a una visión de los Apóstoles, retomando y presentando viejas y ya extinguidas teorías como nuevas y científicas".

Ya en el primer volumen de "Jesús de Nazaret" el Papa Ratzinger había mostrado que ésta era la intención de su libro: decir la verdad íntegra sobre Jesús, verdadero Dios y verdadero hombre.

Sin esta verdad íntegra sobre Jesús crucificado y resucitado – ha insistido el Papa en el mensaje de Pascua – no hay luz que ilumine "las zonas oscuras en las que vivimos" y "no hay salvación para el hombre".

En la catequesis del miércoles "in albis" Benedicto XVI ha dado un paso ulterior. Ha ilustrado el sentido de la resurrección de Jesús, siguiendo la huella de las palabras del "Credo", la síntesis de la fe cristiana que los fieles de todo el mundo recitan en cada misa.

Y lo ha hecho retrocediendo a ese pasaje de la primera carta de san Pablo a los corintios, pasaje que está en los orígenes de los artículos centrales del "Credo".

En particular, el Papa ha querido explicar el sentido de la fórmula que tanto en san Pablo como en el "Credo" acompaña el anuncio de la resurrección de Jesús: "según las Escrituras".

Ha dicho que esa fórmula muestra que el acontecimiento de la muerte y resurrección del Hijo de Dios "lleva en sí un lógos, una lógica", la única capaz de explicar el significado de toda la historia del hombre y del mundo.

Pero aquí no hay una palabra de más. No hay más que leer estos dos extraordinarios textos del Papa Benedicto:

1. Mensaje del domingo de Pascua: "La resurrección de Cristo es nuestra esperanza"
por Benedicto XVI
[Alemão, Espanhol, Francês, Inglês, Italiano, Português]

2. Catequesis del miércoles de Pascua: "Ha resucitado al tercer día, según las Escrituras"
por Benedicto XVI
[Espanhol, Italiano, Português]

Todas las homilías pronunciadas por Benedicto XVI en la Semana Santa de este año, en el sitio web del Vaticano:
Homilías 2009

Traducción en español de José Arturo Quarracino

Fuente: Chiesa


Solemn Mass in the Gregorian Rite in the Cathedral of the Pope, the Archbasilica of St. John Lateran

Yesterday, the Superior of the Franciscan Friars of the Immaculate, Fr Stefano Maria Manelli, celebrated Solemn Mass in the Cathedral of the Pope, the Archbasilica of St. John Lateran, on the occasion of the Octocentennial of the Approbation of the Rule of St. Francis by Innocent III on 16 April 1209. This took place in the context of the Chapter of Mats, a Conference of the Ministers General of the First Order and the TOR of the Franciscans (Friars Minor, Conventuals, and Capuchins) to celebrate this Octocentennial. Here are some images of the Mass, by way of our friends at Rinascimento Sacro.





Source: NLM

quarta-feira, 15 de abril de 2009

Parabéns Santo Padre pelo teu Aniversário! Estamos contigo e te apoiamos com as nossas orações!

AD MULTOS ANNOS, SANCTE PATER!

PAPA BENTO XVI

Bispo de Roma

Sucessor do Apóstolo Pedro

Sumo Pontífice da Igreja Universal

Patriarca de Ocidente

Primaz da Itália

Arcebispo e Metropolitano da Província de Roma

Soberano do Estado da Cidade do Vaticano

Servo dos Servos de Deus

℣. Oremus pro Pontifice nostro Benedicto.
℟. Dominus conservet eum, et vivificet eum, et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in animam inimicorum eius.

℣. Tu es Petrus,
℟. Et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam.

Oremus. Deus, omnium fidelium pastor et rector, famulum tuum Benedictum, quem pastorem Ecclesiae tuae praeesse voluisti, propitius respice: da ei, quaesumus, verbo et exemplo, quibus praeest, proficere: ut ad vitam, una cum grege sibi credito, perveniat sempiternam. Per Christum, Dominum nostrum. Amen.

Pater Noster, Ave Maria et Gloria Patri pro Summi Pontificis intentionibus


Nascido em Marktl am Inn (Passau) Alemanha – 16 de abril de 1927

Ordenado Sacerdote – 29 de junho de 1951

Eleito Arcebispo de Mônaco e Frisinga – 25 de março de 1977

Sagrado Bispo – 28 de maio de 1977

Cardeal da Santa Igreja – 27 de junho de 1977

Eleito Papa – 19 de abril de 2005

Início Solene de seu ministério como Pastor universal da Igreja 24 de abril de 2005

Bento XVI: Para nossa fé e nosso testemunho cristão é fundamental proclamar a ressurreição de Jesus como um fato real, histórico e comprovado


Cidade do Vaticano, 15 abr (RV) - O Papa Bento XVI encontrou-se nesta manhã com os fiéis e peregrinos de todas as partes do mundo na Praça São Pedro, no âmbito da tradicional audiência geral das quartas-feiras. O Santo Padre deixou Castel Gandolfo, onde se encontra desde a tarde do último domingo para um período de repouso após as intensas celebrações da Semana Santa.

Nesta manhã o papa voltou a falar sobre a alegria espiritual desses dias de Páscoa, que nenhum sofrimento ou pena pode apagar, e que se baseia na certeza de que Cristo, com sua morte e ressurreição, triunfou definitivamente sobre o mal e a morte.

A novidade supreendente da ressurreição é tão importante que a Igreja não deixa de proclamá-la, prolongando sua recordação especialmente no domingo que é o dia do Senhor e a Páscoa semanal do povo de Deus.

“Para nossa fé e nosso testemunho cristão – disse o papa - é fundamental proclamar a ressurreição de Jesus como um fato real, histórico e comprovado por testemunhas críveis, e que diz respeito à toda a familia humana. Este evento mudou a vida das testemunhas oculares e ao longo dos séculos gerações inteiras de homens o acolheram com fé e o testemunharam, até mesmo com o martírio.”

Como afirma Santo Agostinho, a ressurreição de Cristo é a nossa esperança, e ilumina, além do mais, toda a nossa peregrinação terrena. O mistério pascal é o coração de toda a mensagem evangélica, o núcleo central do nosso “Credo”, no qual se cumprem as escrituras. Na Páscoa, Deus se revela a si mesmo e o poder do amor trinitário que aniquila as forças destruidoras do mal e a morte.

O Santo Padre na conclusão da audiência geral saudou os vários grupos presentes na Praça São Pedro em diversas línguas, entre as quais o português: “Amados peregrinos de língua portuguesa, alegrai-vos e exultai comigo, porque o Senhor Jesus ressuscitou. A ressurreição de Cristo é a nossa esperança! Este pregão pascal ressoa por toda a terra: ressoa no coração dos brasileiros e dos portugueses de Lamego e da diocese de Coimbra! Com alegria, saúdo a comunidade do seu Seminário Maior que, há 250 anos, facilita esta passagem do testemunho da ressurreição, com a formação de novos arautos e servidores. Sobre todos, desça a minha Bênção. Ad multos annos!”

Após a audiência o pontífice retornou a Castel Gandolfo.

Fonte: Radio Vaticano

El manifiesto del Papa Ratzinger: "Que comience así la transformación del mundo"


La revolución cristiana nace en la liturgia, dice Benedicto XVI. Y su "canon", su regla constitutiva, es la gran plegaria eucarística. Lo explicó en la homilía del Jueves Santo. Y antes en una catequesis igualmente sorprendente

por Sandro Magister

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ROMA, 14 de abril del 2009 – La pasada semana santa Benedicto XVI ha acompañado cada celebración con una homilía de aquellas genuinamente suyas de la primera a la última palabra. Las homilías son ya un signo distintivo, quizá todavía el menos notorio y el menos entendido, de este pontificado. Pero seguramente el más revelador.

El Papa Joseph Ratzinger no es solamente teólogo, antes que eso es liturgo y predicador de homilías. Este carácter inconfundible ha sido puesto en evidencia más de una vez en www.chiesa. Por ejemplo, el año pasado lo hicimos colocando en la red, en bloque, inmediatamente después de la Pascua, las seis homilías de la semana santa apenas pasada. Y en otoño, curando un libro - editado por Scheiwiller del Grupo 24 Horas - con una selección de homilías de Benedicto XVI del año litúrgico que acababa de concluir.

En cambio, después de la semana santa de este año, el lector no encontrara reproducidas aquí todas las homilías pronunciadas para la ocasión por el Papa. Estas la podrá leer en el sitio web del Vaticano, haciendo click en los enlaces indicados al final de la página.

De las homilías papales del pasado santo Triduo se reproduce a continuación una sola, la de la noche del Jueves Santo.

E inmediatamente después el lector encontrará otro texto de Benedicto XVI de algunos meses antes: la catequesis que dio en la audiencia general del miércoles 7 de enero del 2009.

Los dos textos están estrechamente relacionados entre sí. En uno y otro el Papa Ratzinger explica las palabras y el sentido profundo del Canon Romano, la plegaria central y constitutiva de la misa, la más antigua entre las que están en uso en todo el mundo con el actual misal de la Iglesia de Roma.

En la misa "in cena Domini" del Jueves Santo el Canon Romano tiene algunas variantes propias del día. Y desde las primeras palabras de su homilía Benedicto XVI pone en evidencia el detalle.

Pero es al sentido global de esta plegaria litúrgica capital que el Papa Ratzinger dedica toda la homilía.

Y hace lo mismo en un pasaje de la catequesis del 7 de enero, que por lo demás está dedicada a ilustrar el culto cristiano en su conjunto. El culto que el Canon Romano, sobre las huellas de san Pablo, define, "rationabile".

La traducción corriente de "rationabile", en las lenguas modernas, es "espiritual". Pero Benedicto XVI advierte que se tenga cuidado de pensar que el culto cristiano sea algo metafórico, moralista, puramente interior. No, explica, el verdadero culto cristiano aferra a los hombres y al mundo en su totalidad, es también corporal y material, es "liturgia cósmica" en la cual "los pueblos unidos en Cristo, el mundo, se hacen gloria de Dios".

Es rarísimo, en la moderna producción teológica y litúrgica, encontrar una explicación del significado del culto cristiano tan penetrante como en estos dos textos de la predica del Papa Ratzinger.

A continuación, pues, en orden:

1. Homilía del Jueves Santo, 9 de abril del 2009, sobre el Canon Romano
por Benedicto XVI
[Alemão, Espanhol, Francês, Inglês, Italiano, Português]

2. Catequesis del 7 de enero del 2009, sobre el culto "espiritual"
por Benedicto XVI
[Alemão, Croata, Espanhol, Francês, Inglês, Italiano, Português]

3. El Canon Romano en latín y en lengua moderna. Los textos completos:

En latín: "Te igitur, clementissime Pater..."
En español: "Padre misericordioso..."

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Todas las homilías de Joseph Ratzinger Papa, año por año, en el sito web del Vaticano:

Homilías

La introducción de Sandro Magister al libro, editado por Scheiwiller, que recoge las homilías de Benedicto XVI en el año litúrgico que va del Adviento del 2007 al del 2008:

Homilías. El año litúrgico narrado por Joseph Ratzinger, Papa

Fonte: Chiesa